Il mindful eating è un approccio alla vita alimentare sempre più diffuso, ma spesso ancora poco conosciuto, confuso e non ben definito. Questo anche perchè spesso viene attribuito il nome “mindful eating” a qualsiasi cosa, quando in realtà si tratta di un percorso di mindfulness applicato alla vita alimentare strutturato in modo preciso dalle psicoterapeute fondatrici dei programmi MB-EAT o ME-CL.
Come insegnante certificata di mindful eating voglio sfatare alcuni miti e credenze circolanti su questo percorso.
Il mindful eating non è una nuova dieta alla moda, né un altro insieme di regole da seguire, né un regime alimentare. Ma se non ti avvicini con spirito di curiosità, flessibilità e volontà di lasciar andare le aspettative, allora potresti trasformarlo nell’ennesima serie di regole; ad esempio se cominci a pensare “posso mangiare solo quando ho fame”, “devo fermarmi quando raggiungo la sazietà”, “devo sempre mangiare consapevolmente altrimenti sbaglio” rischi di creare degli schemi e rientrare in un meccanismo giudicante tipico della diet-culture (Diet culture vs mindful eating: leggi l’articolo qui).
La mindfulness, per definizione, è l’osservare con intenzione nel momento presente e in modo non giudicante.
Non necessariamente! Il mindful eating aiuta a connettersi con i segnali del corpo, tra cui la fame fisica, la sazietà e la pienezza. Ascoltando i segnali del corpo potrai allinearti ogni giorno alle necessità che ha e rispondere in modo adeguato.
Le diete propongono delle quantità standard e predefinite, ma ogni giorno abbiamo fabbisogni diversi, dettati dal metabolismo, dall’attività fisica, da variazioni ormonali, da patologie, dallo stile di vita, ecc: mangiare sempre le stesse quantità non è fisiologico e ci allontana dalle reali necessità del corpo.
Quindi se si è abituati a mangiare troppo, ci aiuterà a mangiare meno; questo non significa poco, semplicemente più in linea con i nostri fabbisogni. Ma se si è abituati a mangiare poco e in continua restrizione potrebbe al contrario farci mangiare di più e meglio.
Un aspetto su cui si lavora molto nel percorso è la fame emotiva. La fame emotiva è quella fame che insorge in seguito ad un’emozione e che non ha a che fare con la fame fisica (puoi approfondire l’argomento in questo altro articolo).
La mindfulness aiuta a essere più consapevoli delle emozioni, oltre ad essere molto utile per ridurre lo stress. Questo però non si traduce automaticamente nel non avere più fame “nervosa”.
Sicuramente uno stato di maggior benessere aiuterà a ridurre situazioni emotive che non gestiamo, ma ci saranno sempre occasioni in cui la fame nervosa si ripresenterà.
Quello in cui aiuta la mindfulness è rompere gli automatismi e darci quel tempo per sentire l’emozione e capire come è meglio agire per noi in quel momento.
Pensare che il mindful eating serva a gestire la fame emotiva senza il cibo è sbagliato. Come spiegato appena sopra, il mindful eating aiuta a spegnere il nostro pilota automatico, che nel tempo potrebbe essere impostato sul rispondere con il cibo a qualsiasi stato emotivo.
Entrando in relazione in maniera diversa con le emozioni possiamo gestirle con il cibo o con altri modi. Ma la consapevolezza risiede anche nel fatto di poter rispondere alla fame emotiva con il cibo, senza però che sia un automatismo: diventerà una scelta e in tal caso non ci saranno sensi di colpa.
Si tratta di un percorso esperienziale basato sulla mindfulness che ti aiuterà a:
Se vuoi approfondire trovi qui l’articoloMindful eating: cos’è